La rabbia: come reagire in modo efficace

La rabbia è una emozione primitiva, fondamentale con una specifica origine funzionale, essa può essere osservata sia in bambini molto piccoli che in specie animali diverse dell’uomo.

Insieme alla gioia e al dolore, la rabbia è una tra le emozioni più precoci.

Si usano moltissimi termini linguistici per riferirsi a questa reazione emotiva: collera, esasperazione, furore ed ira per rappresentare lo stato emotivo intenso della rabbia; altri per esprimere la stessa emozione ma di intensità minore, come: irritazione, fastidio, impazienza.

Per la maggior parte delle teorie la rabbia rappresenta la tipica reazione alla frustrazione e alla costrizione, sia fisica che psicologica.

Ancor più delle circostanze concrete del danno, quello che più pesa nell’attivare una emozione di rabbia sembra cioè essere la volontà che si attribuisce all’altro di ferire e l’eventuale possibilità di evitare l’evento o situazione frustrante.

Ci si arrabbia quando qualcosa o qualcuno si oppone alla realizzazione di un nostro bisogno, soprattutto quando viene percepita l’intenzionalità di ostacolare l’appagamento.

La cultura e le regole sociali a volte impediscono di dirigere la manifestazione e l’azione direttamente verso l’agente che scatena la rabbia, spesso si assiste ad una inibizione dell’azione di aggressione e addirittura al mascheramento dei segnali della rabbia verso l’oggetto frustrante.

Quando la rabbia non viene rivolta verso l’oggetto che provoca la frustrazione, potrebbe essere spostata verso un oggetto diverso oppure diretta verso se stessi, trasformandosi in autolesionismo ed auto aggressione.

Per quanto possano essere forti le pressioni contro la manifestazione della rabbia, essa possiede una tipica espressione facciale, ben riconoscibile in tutte le culture studiate. L’aggrottare violento della fronte e delle sopracciglia e lo scoprire e digrignare i denti, rappresentano le modificazioni sintomatiche del viso che meglio esprimono l’emozione della rabbia. Tutta la muscolatura del corpo può estendersi fino all’immobilità.

Le sensazioni soggettive più frequenti possono essere: la paura di perdere il controllo, l’irrigidimento della muscolatura, l’irrequietezza ed il calore. La voce si fa più intensa, il tono sibilante, stridulo e minaccioso. L’organismo si prepara all’azione, all’attacco e all’aggressione. Le variazioni psicofisiologiche sono quelle tipiche di una forte attivazione del sistema nervoso autonomo simpatico, ossia: accelerazione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa e dell’irrorazione dei vasi sanguigni periferici, aumento della tensione muscolare e della sudorazione. Gli studi sugli effetti dell’inibizione delle manifestazioni aggressive sembrano indicare che chi non esprime in alcun modo i propri sentimenti di rabbia tende a viverli per un tempo più lungo.

Le modificazioni psicofisiologiche sono funzionali alla rimozione dell’oggetto frustrante. La rabbia è sicuramente uno stato emotivo che aumenta nell’organismo il propellente energetico utilizzabile per passare alle vie di fatto, siano queste azioni oppure solo espressioni verbali.

La rimozione dell’ostacolo che si oppone alla realizzazione del bisogno può avvenire sia attraverso l’induzione della paura e la conseguente fuga sia mediante un violento attacco.

 

 

I motivi alla base di un attacco di rabbia riguardano la frustrazione di attività che erano connesse con l’immagine e la realizzazione di sé. Lo scopo della rabbia sembra rivolto a modificare un comportamento che non si ritiene adeguato.

L’arrabbiarsi, motivando chiaramente le motivazioni dello scontento, sembra infatti essere una procedura per ottenere un utile cambiamento.

I social network, ci propinano una immensa quantità di cose per cui vale la pena di arrabbiarsi, e ci spingono subdolamente a pensare che reagire con una battuta pepata o cliccare ripetutamente mi piace sui commenti degli altri, sia di una qualche utilità; essere arrabbiati tende a sostituire l’azione: questa è un’esperienza emotiva che crea assuefazione e ci illude che stiamo facendo qualcosa, mentre in realtà non è altro che un diversivo.

Quando arrabbiarsi non porta mai a nulla, alla lunga subentra lo scoraggiamento.

Ci adattiamo al peggio: “Se cerchiamo di mantenere quel livello febbrile di angoscia, paura e indignazione, il nostro cervello, per proteggerci, abbassa semplicemente il volume della rabbia e si adatta”. Siamo indotti a pensare che l’unico modo per opporci alla “normalizzazione” di cose terrificanti sia rimanere costantemente infuriati. Se fremiamo dalla rabbia – ci dice la logica – non rischiamo di diventare acquiescenti.

Il guaio, secondo Curzer, è che anche le emozioni si normalizzano (a causa dell’ormai noto “adattamento edonico”, per cui le cose nuove ed entusiasmanti a lungo andare ci sembrano banali, e certe situazioni terrificanti prima o poi non ci fanno più soffrire). Perciò non è egoistico, anzi forse è proprio nostro dovere, ogni tanto prendere le distanze dall’orrore e continuare la nostra vita, specialmente nei suoi aspetti più piacevoli. Chiamiamolo “prenderci cura di noi stessi”, se vi piace questa brutta espressione, ma è anche un modo per evitare che le nostre emozioni si appiattiscano.

È strano pensare che “angoscia, paura e indignazione” possano creare assuefazione: di solito riserviamo questo concetto a esperienze che, almeno all’inizio, sono piacevoli. Ma come hanno sempre sostenuto i buddisti, l’avversione e il desiderio sono due facce della stessa medaglia: sia che moriamo dalla voglia di qualcosa o che la detestiamo per qualche motivo, si tratta sempre di un’ossessione.

Se vogliamo lanciare una campagna contro qualcuno o qualcosa, saremo molto più efficaci se riusciamo a mantenere un certo distacco invece di lasciarci trascinare in un futile turbine di rabbia, che va unicamente a vantaggio dei nostri avversari. È come rafforzare un muscolo. Potremmo chiamarlo addestramento alla resistenza.

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